E’ uscito per dei Merangoli editore Chimere nostre, di Isabella Caracciolo. Secondo lavoro letterario dell’autrice toscana, opera prima come vero e proprio romanzo: nel 2013, infatti, è uscito Ritratto a dispetto, racconto lungo. Chimere nostre è un lavoro che, fra teatro e psichiatria, ripercorre il viaggio nella psiche e nell’animo di Filippo, attore di teatro ossessionato dalla figura di Torquato Tasso al punto da identificarsi in lui in modo sempre più radicale e doloroso. Alternando capitoli in prima persona, che scandagliano la vita del protagonista, a capitoli che mettono in scena l’opera su Tasso a cui sta lavorando lo stesso Filippo, il romanzo affronta il grande tema del disturbo bipolare e delle sue ingannevoli chimere. Perchè, per paradosso, questa malattia riesce ad ottenebrare la mente anche per mezzo di una luce abbagliante e le cui vie si confondono, non di rado, con quelle del misticismo e dell’arte.
Già nel titolo possiamo cogliere come l’autrice percepisca il viaggio nella psiche e nella malattia mentale: chimera è sogno, è ipotesi assurda – utopica -, chimera è mostro.
La delicatezza e il coraggio di chi sceglie di parlare di psiche e dei suoi meandri più scuri sono tanto utili quanto difficili da dosare. L’autrice però riesce a farlo egregiamente insinuandosi nella piega romanzesca che, come bene ci spiega Filippo La Porta nella prefazione, è forse la maniera più giusta per descrivere lo spessore esistenziale di una svolta interiore, senza che si risulti troppo astratti o pesanti.
La salute mentale viene descritta in una sorta di metaracconto, che intreccia l’analisi delle lettere e opere di Torquato Tasso e il viaggio che attraverso queste affronta Filippo, attore di teatro trentatreenne, appassionato di tarocchi e amante a tal punto dello scrittore da arrivare a confondere la propria esistenza con quella del drammaturgo e filosofo cinquecentesco. Con estrema delicatezza Isabella Caracciolo permette a Filippo di affrontare i mostri – le chimere – che avvolgono la sua esistenza e quella delle persone a lui più care. Il bipolarismo del padre, le manie ossessive della madre, la depressione dell’autore tanto amato, non sono altro che uno specchio in cui riflettersi e che dà modo di riflettere: esistenza, misticismo e spiritualità, arte, visione e passioni. Forse il viaggio più devastante è quello dentro se stessi. Lo capirà Filippo, rileggendo i suoi scritti vent’anni dopo, in un giorno che sembra così lontano da quello del suo trentatreesimo compleanno, quando, secondo le sue convinzioni, tutto sarebbe dovuto cambiare. E, con una ritrovata lucidità, si renderà conto di come le tenebre della malattia mentale possano offuscare completamente il quadro, mentre ci ingannano di illuminare e chiarire ogni cosa. C’è però la possibilità di un bagliore nella follia, che riesce alle volte ad essere l’unico vero spiraglio di reale e che, per questo, non va giudicata ma capita fino in fondo. Questo il messaggio coraggioso dell’autrice che, con estrema competenza e delicatezza, offre – romanzandola – una piccola guida, un sostegno, un punto di vista non giudicante sulla malattia mentale. Nella società liquida e senza punti di riferimento come quella odierna – in cui spesso l’avanguardia intellettuale non riesce a compiere dei piccoli e basilari passi – Isabella Caracciolo non avrebbe potuto incidere con un contributo migliore: c’è bisogno di apertura, di delicatezza e comprensione.